Ecovillaggi: Vivere Altrimenti

Tratto da: coscienzaevoluta Ecovillaggi: "vivere altrimenti"





La vita, l'amore e le vacche
Il fenomeno degli ecovillaggi è assai più diffuso di quanto si possa immaginare e questo è il segnale inequivocabile che una buona parte di NOI, consapevole della decadenza in cui riversa l'attuale società, si sta già orientando verso uno stile di vita più adeguato. La fase sperimentale è ancora in atto ma molte strutture godono già di un buon livello di autonomia. Vivere in modo olistico ed ecosostenibile, senza inutili preoccupazioni, con rinnovato spirito e a contatto con la natura è possibile. Persino vivere senza denaro è possibile, ma tutto questo può funzionare e si può realizzare solo se la coscienza personale di chi è disposto al cambiamento è abbastanza matura e indipendente da affrontare un simile salto di qualità, sbarazzandosi di tutto ciò che condiziona l'ego e rigettando le tipiche convizioni da "suddito".
Benché sia ormai una consuetudine dare un PREZZO a qualsiasi cosa, a questa possibilità, sarebbe forse più opportuno dare un VALORE. Dovrebbe essere una scelta ben ponderata, sentita in modo genuino, perché si sta parlando di migliorare sensibilmente la propria qualità di vita ma, necessariamente, anche di slegarsi dal sistema consumistico. Una scelta scaturita da una precisa presa di coscienza, dalla volontà di trasformare radicalmente la propria esperienza di vita in qualcosa di "nuovo", di simolante e appagante.
Soffermandosi un momento sull'idea di coabitare in una comunità dove tutti collaborano in assenza di gerarchie e nel totale rispetto dell'ambiente, dove si ha il tempo di concentrarsi su se stessi e di riscoprirsi assieme agli altri, è facile intuire come un simile ideale di vita esprima in realtà il "ritorno alle radici" dalle quali ci hanno lentamente strappato.













Che cos'è un ecovillaggio (di Mimmo Tringale)
Il termine ecovillaggio è un neologismo mutuato dall’anglosassone “eco-village”, coniato per la prima volta da Robert e Diane Gilman che per primi utilizzarono tale termine nel volume Eco-villages and Susteinable Communities (edizioni The Gaia Trust, 1991). Qualche anno più tardi fu fondato il Global Ecovillages Network (Gen), una rete internazionale, cui aderiscono ecovillaggi presenti in tutti i continenti, e nel 1995, con il primo meeting ospitato nella storica comunità di Findhorn, in Scozia, il movimento degli ecovillaggi ricevette il suo battesimo ufficiale. La traduzione letterale del termine inglese non fa giustizia del significato più profondo del termine che forse sarebbe più corretto tradurre con “comunità intenzionale ecosostenibile”, questo perché quando si parla di ecovillaggio si intende una comunità caratterizzata da due elementi fondamentali: intenzionalità ed ecosostenibilità.
Per la Fellowship for Intentional Communities (Fic), una fondazione costituita in gran parte da rappresentanti degli ecovillaggi statunitensi, una comunità intenzionale è: “un gruppo di persone che hanno scelto di lavorare insieme con l’obiettivo di un ideale o una visione comune. La maggior parte delle comunità, anche se non tutte, condividono la terra o l’abitazione. Le comunità intenzionali possono essere di dimensioni e struttura organizzativa tra le più varie, così come i valori fondanti che possono essere: sociali, economici, spirituali, politici e/o ecologici. Possono essere rurali o urbane. In alcune, i membri alloggiano tutti in un’unica abitazione, in altre vivono in case separate. In alcune vi sono bambini, in altre no. Alcune comunità intenzionali sono laiche, altre di tipo spiccatamente spirituale, altre ancora pur essendo laiche sono caratterizzate da un orientamento spirituale più o meno spiccato.”
Per quanto riguarda la sostenibilità, anche se il termine ecovillaggio pone l’accento sull’aspetto ecologico, in realtà l’orientamento del Gen è di promuovere una sostenibilità a 360 gradi; come si legge nella Carta degli intenti della Rete Italiana Villaggi Ecologici (Rive), gli ecovillaggi: “si ispirano a criteri di sostenibilità ecologica, spirituale, socioculturale ed economica, intendendo per sostenibilità l’attitudine di un gruppo umano a soddisfare i propri bisogni senza ridurre, ma anzi migliorando, le prospettive delle generazioni future”.

Vivere in un ecovillaggio In una società profondamente individualistica, l’idea di vivere insieme condividendo professionalità, esperienze, affetti, risorse economiche e intellettuali certo meraviglia. Abituati a vivere le nostre vite in anonimi condomini, stupisce che sia possibile condividere fuori della cerchia ristretta dei legami parentali l’educazione dei propri figli, la preparazione dei pasti, le pulizie, il lavoro. Eppure si tratta di scelte che oltre a migliorare la qualità della vita, perché liberano il tempo e aumentano la socialità, portano a una riduzione sensibile dei costi economici e ambientali. Provate a immaginare quanti televisori, lavatrici, lavastoviglie, scaldabagni, automobili ci sono in un normale condominio. Se le stesse persone decidessero di “vivere in comunità” invece di dieci lavatrici, ne potrebbe bastare una, magari più capiente; e così per la caldaia, il televisore o la lavastoviglie e forse invece di dieci auto ne basterebbero tre o quattro.
Questo è quanto avviene in numerose esperienze di cohausing, molto diffuse in Danimarca, Olanda e nei paesi scandinavi. Ma un ecovillaggio è qualcosa di più della semplice condivisione di uno spazio e di qualche elettrodomestico, si tratta di condividere una visione e sperimentare concretamente nel quotidiano uno stile di vita in armonia con la natura basato sui valori di solidarietà, partecipazione, ecosostenibilità e sobrietà. Provate a immaginare diciotto adulti di età e professionalità diverse: insegnanti, agronomi, ingegneri informatici, agricoltori, baristi, muratori che versano in una cassa comune i propri stipendi e poi una volta prelevato una “paga uguale per tutti” di 150 euro, utilizzano tutte le risorse per le spese comuni (spese mediche, educazioni dei bambini, trasporto, spese energetiche, cibo, abitazioni ecc.).
Un’utopia? Eppure è quanto avviene nella Comune di Bagnaia, nei pressi di Siena. Provate a immaginare dei bambini che hanno la possibilità di crescere in compagnia di loro coetanei e con il sostegno anche di altri genitori adulti che a turno fanno da animatori fuori degli orari di scuola, e soprattutto che possono giocare nella natura con anatre, conigli, capre. Solo fantasia? No, è quanto avviene ogni giorno presso l’ecovillaggio di Torri Superiore, a Ventimiglia.
Eppure chi interpreta l’esperienza degli ecovillaggi come una sorta di fuga dalla società o come scelta individualistica si sbaglia. Dietro il vuoto di valori vomitato quotidianamente dalle tv, pubbliche e private, si nasconde un bisogno diffuso di una nuova socialità. Lo slogan: “Un mondo migliore è possibile, noi lo stiamo costruendo” coniato dalla Rive, in occasione del Social Forum Europeo del 2003, racchiude molto bene il contributo che l’esperienza degli ecovillaggi può offrire al processo di trasformazione della società. E l’interesse crescente per il movimento degli ecovillaggi è una prova concreta di questo desiderio di cambiamento. Giovani e meno giovani, singoli e coppie, lavoratori e disoccupati, baby pensionati, ma anche professionisti e imprenditori: l’idea dell’ecovillaggio sembra coinvolgere in maniera trasversale fasce generazionali, strati sociali ed esperienze d’impegno politico e sociale più diverse e convogliare i desideri, i bisogni e le fantasie più disparate.
Gran parte delle telefonate o delle e-mail che giungono alla redazione del mensile Aam Terra Nuova, che materialmente ospita lo sportello informativo della Rive, denunciano un profondo disagio esistenziale e insieme il desiderio di cambiare la propria vita, nella direzione di una nuova socialità e, sempre più spesso, di un lavoro più gratificante in un luogo, o in una dimensione, il più possibile vicino alla natura. Nonostante tutte le apparenze di questi anni di disimpegno e di omogeneizzazione del pensiero, la prospettiva di investire la propria vita nell’assurdo ritornello: “lavora-consuma-produci-crepa” sembra affascinare sempre meno.
“Sono felicemente sposato da quattro anni e padre da due - mi confessava Gianni M. di Milano, qualche giorno fa - ma l’idea di passare tutta la mia vita nel mio bellissimo appartamento, senza nessuno rapporto con i vicini e con l’unica prospettiva di aspettare le ferie e qualche ponte per uscire dalla routine quotidiana mi fa capire che ho sbagliato qualcosa. L’idea dell’ecovillaggio mi piace perché penso sia una dimensione più umana soprattutto per i bambini che in questa società hanno sempre meno spazio.”
“Mi sono laureata in ingegneria lo scorso anno - racconta Lucia B. di Napoli - ma non ho nessuna intenzione di mettere il mio sapere nelle mani di qualche multinazionale o di qualche azienda privata che pur di vedere crescere i propri utili è disposta a devastare l’ambiente. Mi piacerebbe potere lavorare a favore non contro la natura e possibilmente in un contesto di confronto e di collaborazione con altre persone. Non sopporto il clima competitivo che si respira nel mondo del lavoro convenzionale. Ho vissuto per due mesi nella comunità di Findhorn e assaporato il piacere di lavorare in armonia e con piacere.”.
“Voglio svegliarmi la mattina e incontrare facce amiche - scrive Marta C. di Urbino in un’accorata e-mail - e soprattutto andare a letto la sera con la coscienza serena di aver fatto qualcosa di utile per il pianeta. Mi sembra assurdo consumare la mia vita e le mie energie per acquistare l’auto, poi la casa, poi la villetta al mare. Mi piacerebbe costruire, insieme ad altri, qualcosa di utile per le generazioni che seguiranno”.
Queste sono alcune delle numerose testimonianze del diffuso bisogno di un “mondo migliore”, mondo migliore che molti vedono realizzati negli oltre tre mila ecovillaggi presenti oramai in tutto il pianeta senza distinzione di continenti e paesi, cui vanno aggiunti almeno un altro migliaio di realtà non censite.

Come si vive negli ecovillaggi?

L’area più ricca di comunità ed ecovillaggi è il continente americano, dove si contano almeno 2000 comunità, il 90 per cento delle quali situate negli Stati Uniti, con un numero di membri stimano intorno alle 100.000 persone. In Gran Bretagna e Irlanda sono segnalate circa 250 comunità con 5000 membri. In Germania sono oltre cento, in Francia 33, nei Paesi Bassi 13, nei paesi scandinavi circa 28. In Spagna e Portagallo 23 in tutto. Dal punto di vista numerico, il panorama italiano degli ecovillaggi è in linea con quello di altri paesi mediterranei. Alla Rete Italiana Villaggi Ecologici aderiscono oggi una ventina di realtà, cui vanno aggiunti cinque-sei progetti, cioè comunità in via di formazione, e almeno altre dieci realtà che non aderiscono alla rete. Se si analizzano i diversi modelli di ecovillaggi esistenti in Italia e nel mondo si possono trovare numerose linee comuni, ma anche molte differenze. Questo perché non esiste un modello standard, ogni esperienza si conforma intorno alla storia, alle ispirazioni e alle esperienze del gruppo promotore. E molto spesso, la stessa struttura organizzativa e persino i principi ispiratori possono modificarsi nel tempo.

Principi ispiratori
Vi sono ecovillaggi nati con l’obiettivo preciso di ridare vita ad un vecchio borgo abbandonato, nel rispetto dei valori architettonici e ambientali originari; ed ecovillaggi sorti intorno all’idea di sperimentare un modello sociale alternativo basato sui principi della solidarietà e della nonviolenza. Altri sono legati ad una scelta di vita spirituale, spesso fuori dai dogmi delle religioni istituzionalizzate; altri ancora si sono formati per sperimentare un modello di società a basso impatto ambientale basato sulla riduzione dei consumi e l’autosufficienza. Infine in non poche comunità si assiste ad una fusione di uno o più orientamenti.

Collocazione e dimensioni
Per quanto riguarda la collocazione territoriale e le dimensioni, la maggior parte delle realtà sono di tipo rurale e con l’eccezione di Nomadelfia e Damanhur, i cui membri residenti superano nel primo caso il numero di 300 e nel secondo 650, la maggior parte degli ecovillaggi contano mediamente da 10 a 20 membri.

Economia

Nella maggior parte dei casi la proprietà dei beni (terreni, edifici, mezzi di produzione) è comune. Tutti i membri (sia quelli che svolgono un’attività lavorativa fuori dalla comunità, sia quelli che lavorano all’interno) versano i proventi del proprio lavoro in una cassa comune. In alcuni casi, la comunità provvede alle spese generali (vitto, manutenzione abitazioni, riscaldamento, auto, ecc.) e in più assicura ad ogni membro una paga mensile uguale per tutti, senza distinzione delle mansioni svolte dentro o fuori della comunità. Questa regola di base, presenta varianti più o meno significative a seconda dei casi. Vi sono ecovillaggi dove esiste un sistema di retribuzione differenziato a seconda dell’attività svolta, ma poi vi è un sistema di “tassazione” che in qualche modo ridistribuisce la ricchezza; in altri vige un regime misto.

Lavoro

In genere, alcuni membri lavorano all’interno (agricoltura, ospitalità, organizzazione di corsi e seminari, artigianato, ecc.) altri svolgono professioni convenzionali fuori dalla comunità. Per i membri che lavorano al di fuori della comunità le ore di lavoro sono quelle richieste dalla professione svolta, per i lavori all’interno della comunità, la giornata lavorativa è di solito quella classica di otto ore. La sensazione generale è che nelle comunità l’impegno lavorativo è maggiore (scordatevi di lavorare dalle 8 alle 14 come accade per qualche impiego statale), ma vissuto in maniera più gratificante; anche perché tra gli obiettivi di base c’è il proposito di vivere il lavoro, come espressione della propria creatività più che come obbligo. Tant’è vero che in molte realtà, lo spazio del lavoro si “confonde” spesso con quello del tempo libero, anche perché prima o poi ognuno riesce comunque a inventarsi un’attività affine ai propri interessi.
Vi sono poi tutta una serie di impegni che riguardano la gestione generale della comunità (preparazione dei pasti, amministrazione, manutenzione o autocostruzione dei locali, attività sociali, ospitalità, ecc.) che sono ripartite in maniera paritaria tra tutti i membri e che spesso si traducono in una riduzione del carico di lavoro individuale, basta pensare all’educazione dei bambini (in genere tutti i membri della comunità se ne prendono carico) o alla preparazione dei pasti (in genere comuni) o alla pulizia della casa. Anche la presenza di volontari, contribuisce a ridurre il carico di lavoro.
Grazie alla maggiore organizzazione e alla condivisione di alcune mansioni, nelle realtà più consolidate dal punto di vista economico, si cerca di aumentare gli spazi dedicati a viaggi, scambi di ospitalità con altre comunità, arte e cultura. Ma anche in questo caso esiste una grande varietà di situazioni.

Governo

Nella maggior parte delle comunità le decisioni importanti vengono prese con il metodo del consenso e per la risoluzione dei conflitti sono interpellati facilitatori o mediatori esterni. In genere, nessuna decisione rilevante viene presa senza l’unanimità. Quando questo non avviene vi è comunque un sistema di governo molto partecipato e orizzontale che va oltre alla tradizionale dinamica maggioranza-minoranza.

Famiglia e educazione dei bambini

Nelle comunità ritroviamo, in piccolo, un’articolazione affettiva abbastanza tradizionale: ci sono singoli e coppie con o senza bambini. In qualche modo la coppia o la famiglia continua ad essere un punto di riferimento, ma viene vissuta con una maggiore apertura verso l’esterno. Di diverso è anche l’aiuto e il sostegno che la coppia o il singolo genitore con bambini riceve dall’intera comunità. Nella maggior parte dei casi l’educazione dei bambini è affidata direttamente ai genitori. Nelle comunità più piccole sono utilizzate le strutture educative (scuole materne, elementari e superiori) esterne. Nelle realtà più numerose vi sono esempi di scuole interne autogestite ispirate a modelli non competitivi e antiautoritari.

Affettività e sessualità

La grande affettività e familiarità tra i diversi membri è certamente uno degli aspetti più interessante della comunità. Nella stragrande maggioranza dei casi, la sessualità viene vissuta in modo privato all’interno della coppia. Esistono tentativi molto avanzati (Zegg in Germania) di superare la coppia tradizionale, ma si tratta di sperimentazioni sporadiche e poco diffuse. In ogni caso, nella maggior parte delle comunità vige una completa parità tra i sessi a livello decisionale, di mansioni, responsabilità e trattamento economico.

Come conoscere da vicino un ecovillaggio?

Tutti gli ecovillaggi che appartengono alla rete italiana sono a “porte aperte”, nel senso che è possibile visitarli, concordando ovviamente con loro date e modalità della visita. Più complesso è il percorso per farne parte perché richiede un processo di “avvicinamento” che serve per verificare la vicinanza di comportamenti e idee tra il candidato e il nucleo residente. Ogni comunità ha le sue modalità di adesione, e quindi il modo migliore è contattare le singole realtà, prima di pensare all'adesione ad un progetto specifico è comunque consigliabile documentarsi e visitare un certo numero di comunità in Italia e all'estero per avere un'idea più completa possibile della vita in ecovillaggio.








Ogni qualvolta si tenta di definire un’idea si rischia di impoverirne lo spirito originario. Lo stesso accade anche per gli ecovillaggi, la cui definizione risulta ancora più difficile per l’estrema eterogeneità delle esperienze esistenti. Hildur Jackson, cofondatore di Gaia Trust, ha provato a descrivere un ecovillaggio utilizzando una chiave originale di lettura basata sui quattro elementi: terra, acqua, fuoco, aria.




Terra: ovvero la struttura fisica



1. Produrre alimenti biologici su scala bioregionale o locale.



Ogni regione del pianeta dovrebbe produrre alimenti freschi e salutari in primo luogo per soddisfare i propri abitanti, dedicando una parte della propria superficie per lo sviluppo delle specie selvatiche. L’esportazione di derrate alimentari, fibre e altri prodotti dovrebbe avvenire solo dopo che questa condizione di base sia pienamente soddisfatta. La Permacultura è un sistema di produzione in linea con tali criteri poiché essa si basa sul rispetto della biodiversità e delle conoscenze locali ed inoltre richiede un consumo energetico limitato. Diverso è il caso dell’agricoltura biologica, anche se oramai si tratta di una pratica largamente accettata per le sue valenze ecologiche.

2. Costruire in maniera ecologica.

Quando si costruisce o si ristruttura un edifico si utilizzeranno il più possibile materiali edili locali, naturali e non tossici (argilla, legno, pietre, paglia, ghiaia, ecc.), di facile riciclaggio. I criteri di costruzione debbono tener conto anche della possibilità di integrare sistemi di energia rinnovabile, il trattamento delle acque di scarico e la produzione di alimenti.

3. Analisi del ciclo vitale.

Ogni qualvolta si utilizzano materiali naturali per ottenere un determinato prodotto bisognerebbe chiedersi: “Si tratta di un prodotto necessario e utile? Possiamo utilizzare materiali locali, naturali e non tossici per fare la stessa cosa? Il prodotto può essere fabbricato in modo da favorire il riciclaggio dei materiali utilizzati? Il suo processo di produzione è completamente innocuo?”

4. Ripristinare l’ambiente naturale.

La salvaguardia e il ripristino dell’ambiente naturale è parte integrante del programma di gran parte degli ecovillaggi. In molti luoghi lo strato superficiale di humus si è drasticamente ridotto. Nostro compito è ricostruirlo attraverso adeguate pratiche agronomiche e il compostaggio.

L’acqua: ovvero le infrastrutture

1. Salvaguardare le risorse idriche.

La cura e il recupero degli sprechi idrici fatti in passato è un punto importante. Il trattamento biologico delle acque di scarico, il recupero dell’acqua piovana, la cura dell’acqua di superficie e della falda freatica sono scelte inevitabili in un ecovillaggio.

2. Sistemi di energia integrati e rinnovabili.

Nel Nord del pianeta è necessario ridurre i consumi energetici del 90%. Ovviamente questo risultato non si può ottenere unicamente risparmiando energia. E’ necessario ristrutturare le abitazioni in maniera adeguata, se necessario, e soprattutto modificare lo stile di vita e potenziare l’impiego delle energie rinnovabili (sole, vento, acqua e biomassa).

3. Razionalizzare i sistemi di trasporto.

Quello degli ecovillaggi è uno stile di vita che riduce l’incidenza dei trasporti, il cui incremento oggi costituisce uno dei principali problemi ambientali del pianeta. Un sistema alternativo di trasporto si potrà sviluppare solo ponendo l’enfasi sul trasporto collettivo.

4. Accesso alla comunicazione.

In alcuni casi, i sistemi di comunicazione, come per esempio fax, telefono, e-mail o internet possono costituire un’alternativa allo spostamento fisico delle persone. Il Gen (Global Eco-Village Network) ha già realizzato una rete a cui i nuovi ecovilaggi possono accedere per attingere tutte e informazioni di cui hanno bisogno.

Fuoco: ovvero la struttura sociale

1. Sistema decisionale.

La struttura sociale non deve essere troppo estesa, in modo da favorire la partecipazione di tutti. Alla conferenza di Findhorn del ‘95, l’idea generale, circa la dimensione ottimale di una comunità era intorno ai 500 membri. Abbiamo bisogno di un sistema decisionale realmente democratico, dove la gente possa esercitare il diritto di risolvere i propri conflitti, darsi le proprie regole, prendersi cura della propria salute e vivere pienamente la propria vita.

2. Economia sostenibile.

L’economia, dopo tutto, è un’invenzione dell’uomo. E quindi può essere profondamente rinventata allo scopo di servire, anziché dettare regole che oggi appaiono sempre più inique soprattutto per i paesi del Sud del mondo. Le economie locali debbono essere stimolate in modo che il denaro possa circolare localmente senza che venga dissipato nelle grandi città, incentivando le esperienze come le banche del tempo e altri sistemi di scambio locale.

3. Medicina.

La medicina sia in senso generale che a livello preventivo, costituisce una delle aree che necessita più di altre una profonda trasformazione. Nel Nord del pianeta, è possibile risparmiare l’80% delle spese mediche solamente modificando lo stile di vita, senza per questo pensare di rifiutare i numerosi benefici assicurati dalla medicina occidentale.

4. Insegnare e andare oltre.

L’insegnamento di nuovi modi di progettare, fare agricoltura, curare e gestire l’energia è fondamentale per realizzare tutte queste trasformazioni. E il primo obiettivo di ogni ecovillaggio dovrebbe essere lo sviluppo personale di ognuno insieme a quello della comunità.

Aria: ovvero la cultura

1. Arte e creatività.

Dare spazio alla creatività è importante perché consente a ogni membro della comunità di esprimere la propria unicità e come tale va in direzione opposta al conformismo della società di massa.

2. Rituali, celebrazioni e diversità culturale.

Festival, rituali e celebrazioni sono utili per manifestare la propria interconnessione con i propri simili e la natura, nonché la tolleranza e comprensione della diversità culturali. Il senso di connessione ci consente di metterci in relazione con gli altri e ci da un senso di gioia e di appartenenza, trascendendo il modello dualistico di comunicazione.

3. Un punto di vista olografico e circolare.

Siamo vicini ad un salto di coscienza e “coscienza globale” potrebbe essere il nome per questo nuovo paradigma. In diversi settori della società sta emergendo un punto di vista nuovo: “Quello che accade nella natura, accade anche al nostro corpo”. E’ questo il principio olografico. Tale principio si è manifestato in passato nelle antiche culture e ora viene ripreso anche dalla scienza occidentale.

4. Un processo attraverso la pace, l’amore e la coscienza globale.

Ci sono diversi percorsi attraverso i quali è possibile integrare la coscienza globale nel nostro modo di pensare e nei nostri comportamenti. Richiede tempo e impegno per eradicare i condizionamenti indotti nel passato dalla cultura industriale occidentale e l’ecovillaggio è il luogo ideale per questo processo di crescita.

Comunità sostenibile, intenzionale ed ecovillaggio: quali le differenze?

Tanto è stato scritto negli ultimi dieci anni sul tema delle comunità sostenibili sia a livello locale, sia a livello internazionale. Una comunità sostenibile può essere realizzata da due o più persone in campagna, in un villaggio o in città e interessare, almeno in linea teorica una regione o uno Stato intero.
Un ecovillaggio è una comunità sostenibile, ma una comunità sostenibile non sempre è un ecovillaggio. Proviamo a definire meglio le diverse forme che in qualche modo si avvicinano all’idea di ecovillaggio:

Comunità intenzionale

Si tratta in linea di massima “di un gruppo di due o più adulti che hanno scelto di chiamarsi comunità”. Un ecovillaggio è in genere una comunità intenzionale, ma ci sono numerose comunità intenzionali che hanno poco o niente a che fare con l’ecologia e non possono essere definiti ecovillaggio.

Coabitazione

E’ uno stile di vita cooperativistico nato in Danimarca. Mette insieme l’autonomia delle abitazioni private con molti dei vantaggi della vita comunitaria. In genere i residenti, almeno quelli iniziali, partecipano alla progettazione della comunità in modo che essa possa rispondere il più possibile ai loro bisogni.

Ecovillaggi (di Manuel Olivares)

Il termine "ecovillaggi", accanto a quelli di "comuni" e "comunita' intenzionali" rimanda ad un preciso bisogno esistenziale: vivere una vita diversa o, per riprendere il titolo di un vecchio testo, "vivere altrimenti". Pensando alle comuni non possono non venire alla mente i colorati anni '60 e l'innocente retorica del peace and love. Sono meno immediate le associazioni quando si parla di comunità, termine francamente generico, cui, nei casi che interessano questo testo, viene affiancato l'aggettivo "intenzionali".

Volendo offrire una definizione "formale", "gli ecovillaggi sono insediamenti umani che integrano varie attività, non producono danni all'ambiente naturale, si basano sullo sviluppo olistico e spirituale dell'uomo e possono continuare indefinitamente nel tempo". Ora, se la definizione di comunità intenzionale non include necessariamente la "scelta rurale", quella di ecovillaggio non può non comprenderla, pur se questo si viene a trovare -paradossalmente direi- in un contesto cittadino.
Nella definizione di comunità intenzionale l'enfasi cade sull'intenzionalità cioè sul fatto che vivere in comunità è la conseguenza di una scelta deliberata, di una intenzione. Nella definizione di ecovillaggio, il fatto di essere un piccolo nucleo di persone (villaggio) è invece vincolato alla scelta di uno stile di vita ecologico, dunque necessariamente inserito, in primo luogo, in un contesto naturale. L'ecovillaggio rappresenta dunque un importante momento di sintesi di due istanze che, nei secoli, si sono affermate come antidoto all'alienazione urbana: il ritorno al materno grembo naturale e la vita in piccoli gruppi possibilmente affiatati, cioè la scelta, l'intenzione, di essere comunità.
Oggi gli ecovillaggi e le comunità intenzionali sono diverse migliaia nel mondo (ne sono particolarmente ricchi gli Stati Uniti, seguiti dall'Europa, l'Australia e la Nuova Zelanda), in buona parte inseriti in una rete internazionale, il GEN (Global Ecovillage Network). Il fenomeno comunitario, in questi ultimi anni, sta conoscendo una prudente fioritura, agevolato dal fatto che le grandi città sono progressivamente meno vivibili, le condizioni economiche della maggior parte delle persone meno floride (vivere insieme "costa meno"), le alternative offerte da una militanza politica meno allettanti.
Per alcuni vivere in una dimensione comunitaria ed avere garantiti i prodotti dell'orto e degli animali e la legna dai boschi, in un'ottica di semplice sussistenza che abbini una ritrovata libertà da "bisogni indotti" all'astensione dall'inquinare, è già un buon investimento (è il caso dei cosiddetti "ecologisti profondi"). Altri chiedono di più: una qualità della vita difficile da ritrovare nel mondo ordinario, nella cauta accettazione di quanto di buono i soldi e la tecnologia possono offrire.
Altri ancora vivono in un ecovillaggio o in una comunità intenzionale perché coinvolti in uno stesso percorso iniziatico e/o spirituale o anche semplicemente ideologico o culturale. A fronte di questa classificazione generale, esistono molte realtà "miste" in cui, ad esempio, ritroviamo istanze di ecologia profonda "contaminate" con altre legate ad un preciso cammino spirituale o di ricerca politico-esistenziale e gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Riflettendo

Il fenomeno degli ecovillaggi oggi assume indubbiamente un'importanza notevole. Questa iniziativa rappresenta, infatti, una delle poche, collaudate alternative possibili ad un sistema che non è più in grado di soddisfare i nostri reali bisogni. Sarebbe pertanto sconveniente interpretare questo progetto come un'involuzione, o comunque, come un'utopia destinata a fallire. Nell'imminente futuro, prendere questo tipo di rotta, potrebbe invece rivelarsi una decisione alquanto saggia poiché, come numerosi indizi lasciano presagire, pare che sia proprio il nostro attuale modello di vita ad essere prossimo al fallimento.
Dopotutto a chi giova una "vita da comprare" basata sull'avere, corrotta da impulsi indotti con l'inganno e intrisa di frustrazioni, in cui vigono le leggi del profitto e del controllo, in cui spesso non si è capaci di amare né se stessi né gli altri, in cui la maggior parte degli individui arranca pilotata da regole insulse ignorando le vere cause del proprio malessere? Giova sempre e solo a pochi e MAI alla collettività. Eppure è quello che stiamo permettendo. Forse non ci sono ancora sufficienti pretesti per indurre tutti ad una scelta così drastica, forse molti non saranno comunque mai disposti a prenderla in considerazione, ma i tempi sono abbondantemente maturi. Io ci penserei!