Report: Vitelli Dopati e Consumatori Ingannati





Senza due inchieste della magistratura di Cuneo oggi le carni dopate di migliaia di vitelli sarebbero finiti sulle tavole. E' bastato corrompere un veterinario della Asl, e due grandi allevatori italiani di vitelli avrebbero potuto fare i loro sporchi affari sulla pelle degli ignari consumatori. Eppure tutti, dai grossisti ai macellatori, sapevano dell’utilizzo delle siringhe agli anabolizzanti. Ma per scoperchiare il sistema è stata necessaria un’indagine degna dell’antimafia, con intercettazioni e pedinamenti, e questo perché i controlli non avevano rilevato nessuna anomalia. I nostri ministri negli anni hanno decantato un sistema di controllo efficace che però efficace non è. E gli allevatori ne sono ben consapevoli visto che alcuni di loro sanno come aggirarlo, e anche i nostri ministri. Gli unici che non lo devono sapere sono i consumatori, che anzi, vanno rassicurati, perché se fossero informati di come funziona effettivamente la filiera, non comprerebbero più. Report racconta cosa si nasconde dentro quelle stalle: dall’uso sistematico dei farmaci (lecito), all’incapacità del sistema di controllo, europeo e quindi italiano, a scovare i trattamenti illeciti. Dall’inchiesta emerge anche come la politica europea ha consentito negli anni di aggiungere di tutto al latte artificiale. Alla fine viene il sospetto che tutti chiudano gli occhi per agevolare l’industria dell’allevamento intensivo. 









Guarda il Video integrale
 Report: Vitelli Dopati. Puntata del 26 aprile 2015


Iniettavano sostanze cancerogene come il 17 beta-estradiolo nei vitelli a carne bianca destinati al consumo umano ed è di oggi la notizia che sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Cuneo un allevatore di bovini e il suo soccidario, gestore della stalla. Dovranno rispondere del reato di contraffazione e vendita di sostanze alimentari adulterate. Le prove a loro carico sono schiaccianti: l’analisi dei liquidi biologici prelevati dagli animali poco dopo il trattamento hanno confermato la presenza degli steroidi sessuali a effetto anabolizzante.


Gli allevatori dediti al doping in stalla hanno imparato presto che la sostanza proibita che inoculano viene rilevata dall’analisi chimica di laboratorio soltanto se il prelievo dell’urina e del sangue dei vitelli viene eseguito dai veterinari dell’ASL nelle ore subito successive al trattamento. È per questa ragione che iniettano le sostanze illegali prevalentemente durante i giorni festivi, quando le probabilità di un controllo sono remote. Ma l’allevatore e il soccidario rinviati a giudizio non erano a conoscenza dell’indagine mirata che stava conducendo la sezione mobile del nucleo di polizia tributaria di Cuneo che li ha colti di sorpresa entrando nella stalla quando il trattamento con gli anabolizzanti era terminato da poco consentendo così al laboratorio dell’Istituto zooprofilattico di Torino di rintracciarlo nei liquidi biologici di nove bovini. L’allevatore non ha fatto neppure in tempo a liberarsi dei flaconi contenenti 17 beta-estradiolo scovati dagli uomini della guardia di finanza nella sua abitazione e nelle sue stalle.



La notizia di questo duplice rinvio a giudizio arriva il giorno dopo la chiusura in primo grado di un’altra vicenda giudiziaria iniziata nel 2011, sempre condotta dalla sezione mobile del nucleo di polizia tributaria di Cuneo e coordinata dal procuratore capo Francesca Nanni. Le cui richieste di condanna formulate ieri in aula sono state quasi integralmente accolte dal GUP Carlo Gnocchi. Ivo Peracchione, l’allevatore proprietario di 50 stalle, è stato condannato a quattro anni per il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (assolta invece la compagna), mentre è stato condannato a due anni il tecnico che si occupava direttamente dei trattamenti nelle stalle, Claudio Andrea Graglia.

Accolta la richiesta di patteggiamento a due anni con la condizionale per l’imputato eccellente Giancarlo Rabbia, diventato testimone chiave dell’accusa. Come responsabile dell’area C del servizio veterinario di controllo e vigilanza sul benessere animale, sull’uso di farmaci e i residui (anabolizzanti inclusi), il dottor Rabbia poteva facilmente concordare in anticipo con l’allevatore le stalle da controllare (ovviamente quelle “pulite”) o evitarle in caso di controlli (che andavano fatti per non destare sospetti).

Il “pentito” ha confessato di avere accettato denaro dall’allevatore dal 2007 al 2010 per complessivi 115mila euro. Le sue dichiarazioni hanno indubbiamente permesso agli inquirenti di completare il quadro accusatorio nei confronti dell’allevatore-corruttore, Ivo Peracchione, il quale non ha mai confessato la corruzione.

Il veterinario-pentito ha dichiarato di avere confuso il suo rapporto di amicizia con le responsabilità di funzionario pubblico e che la sua è stata una presa di coscienza. “Vorrei inoltre che i miei colleghi si rendessero conto che non vale la pena, nel caso avessero la tentazione di farsi corrompere”. Si è liberato di un peso, Giancarlo Rabbia.

L’allevatore Ivo Peracchione aveva evidentemente cura di un altro peso: quello dei sedicimila vitelli macellati ogni anno prima di finire sulle tavole degli italiani, ingrassati in turni di sei mesi nelle cinquanta stalle di sua proprietà. Dal 2007 al 2010 ha fatturato sessantaquattro milioni di euro. Con la sentenza viene confermata la confisca di 600 mila euro già sequestrati all’allevatore per equivalente del profitto del reato.

Fonte: Corriere.it
Foto di Gisella Bianchi