Schiavi e schiavisti di questa Italia ipocrita...




di Salvo Ardizzone
Il lavoro nero nei lavori stagionali agricoli è pratica diffusa in diverse province italiane; sia che si tratti della raccolta di pomodori nel foggiano o degli agrumi in Calabria non fa differenza: è uno sconcio endemico, aggravato all’inverosimile dall’offerta di sempre nuove braccia dei clandestini e dei richiedenti asilo, in cerca di un qualsiasi lavoro. È una pacchia per i “caporali”, quegli sciacalli che s’accordano con i produttori per la raccolta, e procurano la gente per farla sfruttandola oltre ogni dire.
Ma c’è da ridere amaro a chiamarlo lavoro: nelle campagne del Tavoliere arrivano a sgobbare sotto il sole fino a 12 ore, pagati ad 1 euro (!) per ogni quintale di pomodori raccolti. E non è finita: i “caporali” pretendono da ognuno una percentuale di 50 centesimi per ogni tre quintali di raccolto, 5 euro per il trasporto in campagna, 1 euro per ogni bottiglia d’acqua e così via, compresi i più ignobili abusi, che per le donne sono quasi la regola.
E quella gente, soprattutto gli extracomunitari, è costretta a vivere in miserabili bidonville, come quella di Rignano Garganico, un agglomerato di baracche, tendoni e teli di plastica privo di tutto, che si gonfia fino a contenere migliaia di persone durante la stagione dei lavori, per svuotarsi subito dopo lasciando un tappeto d’immondizia.
No, non è lavoro, è schiavitù. Ma è una schiavitù che conviene a troppi: alla grande distribuzione, che schiaccia i
prezzi d’acquisto a livelli ridicolmente bassi; ai proprietari, che risparmiano alla grande sui salari; a tutto un sottobosco di manutengoli che s’ingrassano sulla pelle di quei disgraziati, anche grazie a leggi e procedure semplicemente idiote.
Esemplare è quella che chiede agli immigrati la residenza per la concessione del permesso di soggiorno, alimentando una pletora d’avvocati, consulenti e sedicenti cooperative di servizi, che vendono a caro prezzo contratti d’affitto e documenti a quei poveracci perché non divengano “clandestini”.
Questo sconcio conviene proprio a tanti, per questo, malgrado sia sotto gli occhi di tutti, i controlli sono da sempre blandi ed il problema non s’è mai affrontato. C’è voluta una catena di morti (quattro, ed un quinto disgraziato è in coma a Metaponto, avvelenato dagli anticrittogamici delle serre dove stava senza nessuna protezione), perché qualcosa finalmente si muovesse.
Per la prima di queste morti, quella di Paola Clemente, una tarantina di 49 anni deceduta a fine luglio, il Pm di Trani aveva già archiviato la vicenda come “morte per cause naturali”. C’è voluta una campagna stampa, l’incalzare delle altre morti e la denuncia del marito per riaprire il caso. Adesso sono arrivati alcuni controlli dei Carabinieri, che hanno appurato quello che tutti già sapevano: la maggioranza delle aziende sono irregolari.
A seguito del momentaneo clamore dei media, il Governo s’è sprecato nell’istituzione di tavoli tecnici, cabine di regia, strategie di contrasto al “caporalato” equiparandolo ai reati di mafia e via discorrendo. Sarà.
Ciò che crediamo è che, come ogni volta, spentisi i riflettori sulla vicenda, cabine, strategie e tavoli tecnici rimangano lettera morta, impaniati nei tanti cavilli con cui la burocrazia è insuperabile per bloccare ogni cosa, e soprattutto fermati dalla totale mancanza di volontà di porre fine ad una vergogna a parole da sempre condannata, ma nei fatti che fa comodo a tanti...